Origini Della Stirpe

Le Origini

Genealogia del Conte

La discendenza di Sua Eccellenza Cav. Paolo Bracci, Conte di Pontedera è da attribuirsi a Andrea Fortebracci, condottiero italiano, (nato in Perugia, 1 luglio 1368 e morto a L’Aquila 5 giugno 1424) che con le sue imprese fu il più vicino a creare uno Stato dell’Italia centrale nel XV secolo.
Andrea Fortebracci, conosciuto anche come Braccio di Montone (Andrea Fortebraccio, Braccio da Perugia, Andrea di Montone, Braccio Fortebraccio, Braccio Forte) di Perugia, per le sue campagne militari acquisì numerosi titoli nobiliari.
Fu Principe di Capua, Gran Connestabile del Regno di Napoli, Governatore di Bologna, Rettore di Roma, Conte di Montone e di Foggia, Signore di Perugia, Todi, Rieti, Narni, Terni, Città della Pieve, Montecassiano, Spello, Nocera Umbra, Sassoferrato, Jesi, Orte, Orvieto, Assisi, Città di Castello, Spoleto, Arcevia, Cingoli.
Il corpo di Andrea Fortebracci fu tumulato nella Chiesa di San Francesco al Prato di Perugia.
In internet vi è numeroso materiale storico sulla vita e le imprese di Andrea Fortebracci.
Vedasi la sua biografia su Wikipedia, o altri cenni sul sito.
Interessante è il manoscritto intitolato “Lettera Istorico-genealogica della famiglia Fortebracci da Montone”, scritto nel 1689 da Giovanni Vincenzo Giobbi Fortebracci, inviato all’Illustriss. Monsig. Giacomo Marchese Giandemaria, scaricabile anche dal sito.
Ricerche araldiche effettuate da altre ramificazioni dei Conti Bracci in Italia, sono riuscite a risalire la linea di discendenza dell’albero genealogico della famiglia Fortebracci, conducendoli al noto condottiero Carlo Magno (nato il 2 aprile 742 e morto a Aquisgrana il 28 gennaio 814).
Carlo Magno (o Carlomagno) fu Re dei Franchi e dei Longobardi e Imperatore del Sacro Romano Impero.
Grazie a una serie di fortunate campagne militari allargò il Regno dei Franchi fino a comprendere una vasta parte dell’Europa occidentale. La notte di Natale dell’800 papa
Leone III lo incoronò Imperatore, fondando l’Impero carolingio.
Vedasi la sua biografia su Wikipedia .


Braccio Fortebraccio


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Chiesa di San Francesco al Prato,
luogo di sepoltura di Fortebraccio


 

L'Imperatore Carlo Magno

E’ da rilevare che ulteriori fonti storiche hanno condotto la discendenza della famiglia Fortebracci a Desiderio, Re dei longobardi, oltrechè al consuocero Carlo Magno.
Re Desiderio, di origine bresciana, duca di Tuscia, succedette nel regno ad Astolfo (dicembre 756), in contesa con Rachis e col favore di papa Stefano II, con la promessa di restituire al pontefice alcune città dell'Esarcato e della Pentapoli.
Desiderio, cercando di ostacolare l'influenza dei Franchi sul papato e sull'Italia e preoccupato dalla minaccia dai duchi di Spoleto e di Benevento, intraprese delle alleanze dinastiche.
Alla morte di Pipino il Breve (padre di Carlo Magno) con l’appoggio della vedova Bertrada (o Berta), Desiderio si imparentò con re Carlo Magno e suo fratello Carlomanno, dando loro in spose, nonostante l’opposizione papale, le figlie Ermengarda ( il cui nome è incerto) e Gerberga.
Desiderio diede in sposa anche un’altra figlia al Duca di Benevento, suo tradizionale oppositore, ed un’altra ancora al Duca di Baviera ( ben piazzato nel suo ducato).
La linea politica istabile di Desiderio aveva portato ad inimicarsi sia la chiesa (specie per le promesse non mantenute ai pontefici successivi a Stefano II) che i Franchi e alcuni duchi Longobardi (schieratisi con questi ultimi), tanto che nel 771 Carlo Magno ripudiò la moglie Ermengarda.
Ermengarda tornò a Pavia alla corte longobarda alla fortezza di Desiderio, malata e allo stremo delle forze e morì poco dopo aver dato alla luce un figlio.
Alla morte di Carlomanno, la vedova Gerberga portò i due figli alla corte reale longobarda per far si che Desiderio intercedesse con il papa per la consacrazione dei due principi, rito che l’avrebbe resi validi concorrenti a Carlo Magno.
Desiderio si elesse paladino della sua richesta, ed al rifiuto del pontefice attuò una politica di forza con la chiesa, invadendo alcuni territori. Il papa chiese a Carlo Magno di intervenire contro Desiderio.
Respinta ogni proposta franca di pacifico accordo, Desiderio, con il figlio Adelchi, cercò di fermare l'esercito di Carlo Magno a Susa, ma fu sconfitto (estate 773) ritirandosi alla sua fortezza a Pavia.
Dopo aver sostenuto un lungo assedio il re si arrese (giugno 774) e, con la moglie Ansa, fu mandato da Carlo Magno prigioniero in Francia, dove morì in un monastero, a Corbie o a Liegi. Con lui ebbe fine il regno longobardo in Italia, durato 205 anni.
Prima che Carlo Magno assediasse la fortezza, alcuni componenti della famiglia di Desiderio, compresi i piccoli nipoti, lasciarono la corte reale per fuggire sui monti appennini e trovare rifugio nell’allora abbandonata rocca d’Aries ( ove si eresse la città di Montone).
Non c’è memoria storica che rocca d’aries sia stata successivamente abbandonata o conquistata da altri.
A condurre alla geneologia reale sono le affermazioni di Andrea Fortebraccio da Montone che indica che la sua famiglia risiede a rocca d’aries da oltre seicento anni, riportandosi perciò al citato periodo storico.


Il talismano di Carlo Magno esposto nella Cattedrale di Reims (Francia)

Desiderio, ultimo Re Longobardo


La Rocca D'aries (Montone)

Il Blasone d'arme di Andrea Fortebracci


Il blasone d'arme è composto da uno scudo a forma tedesca (a tacca), integralmente di color giallo oro. Al centro vi è un  ariete,  simbolo di Montone, luogo di nascita della famiglia di Braccio Fortebracci.
Sopra, nella parte più alta, rappresentante il grado nobiliare, è situato un elmo. E' d'argento, bordato alla base con foglie auree, poste di profilo verso destra, ha la forma a becco di passero e presenta uno svolazzo (lambrecchino) fatto con foglie d'acanto.
Queste foglie avevano un preciso valore simbolico nell'arte greca, successivamente, in quella romana.
L'arte greca, utilizzò queste foglie per ornare i capitelli corinzi, e vista la loro simbologia di prestigio e benessere, appare chiaro il motivo per cui siano state riprese ad ornamento anche di stemmi araldici.
Al di sopra del “cercine” (utilizzato per fissare il “lambrecchino” all'elmo) campeggia un leopardo dorato. L'animale, simbolo della  Signoria di Braccio Fortebracci, sta ad indicare la combattività, la potenza militare e politica del Capitano di Ventura.
L'insigne del leopardo gli fu donata dalla famiglia Bentivoglio di Bologna e fu utilizzata come cimiero nel suo blasone d'arme di battaglia, e stendardo nelle sue imprese (lo stendardo bianco con leopardo), mentre quello in campo d'oro con il leopardo venne usato da Niccolò Fortebracci.
ll Minuti, biografo di Muzio Attendolo Sforza, racconta nelle sue scritture quali colori portassero sulle giornèe i bracceschi nelle loro imprese, e le bardature dei loro cavalli (vedi il sito).




Il Blasone di Andrea Fortebracci

La Loggia di Braccio Fortebracci


Nella città di Perugia troviamo numerose testimonianze del nobile condottiero, come ad esempio “La Loggia di Braccio Fortebracci” in Piazza IV Novembre, in fondo al fianco sinistro della Cattedrale. Nel 1423 Fortebracci, signore di Perugia, la fece costruire appunto per continuare il fianco della Cattedrale, verso la piazza, con il vicino palazzo dei Consoli. La loggia è costituita da quattro archi, uno dei quali parzialmente chiuso, poggiati su dei pilastri ottagonali: sotto la prima arcata sono visibili i resti del campanile dodecagonale addossato alla primitiva Cattedrale (dedicata a Sant'Ercolano) ed abbattuto nel XIV secolo. Sotto la seconda arcata è posta la famosa Pietra della Giustizia, sulla quale vi è un’iscrizione che testimonia l'estinzione del debito pubblico risalente al 1233; sul fondo è visibile un tratto di mura in blocchi squadrati di travertino, probabilmente connesso all'organizzazione del foro antico.
Nel Palazzo dei Priori, precisamente nella “Sala dei Notari”, sul muro sovrastante il tavolo dei relatori, nella parte centrale, possiamo ammirare l’affresco dello stemma di battaglia di Andrea Fortebracci ( il vessillo con la testa di montone); inoltre le sue imprese sono testimoniate nella sala della Congregazione Governativa (ora sala n°18 della Galleria Nazionale) da un ciclo di quattro affreschi (databili tra il 1545 e il 1548) dipinti da Tommaso di Arcangelo di Bernabeo detto il Papacello o Tommaso da Cortona (1505-1559).
Nella successiva biografia sul pittore viene ribadita la sua paternità del ciclo. L'intera decorazione si suddivide in quattro eventi di vita di Braccio Fortebracci. Ogni affresco comprende alle estremità due o quattro guerrieri e altrettanti putti: nel primo, egli prende da Giovanni XXIII il bastone di comando dell'esercito pontificio; nel secondo Braccio incoronato Principe di Capua da Corrado Trinci nel 1423; nel terzo abbiamo la Dedizione di Perugia nel 1416; nel quarto la Battaglia dell'Aquila (1444). Nel Palazzo dei Priori vi è un’ulteriore affresco eseguito da Tommaso da Cortona, che raffigura la morte del nobile condottiero, il quale viene ricordato nel tempo come un personaggio audace, impetuoso, astuto e ambizioso, tanto che il Manzoni fa dire a Niccolò Piccinino nella sua celebre tragedia “Il conte di Carmagnola” (edita nel 1816):


“per tutto ancora con maraviglia e con terror si noma”


L'affresco della morte del condottiero

La loggia di Braccio Fortebracci

Palazzo dei Priori

VIDEO 360° PALAZZO DEI PRIORI


L'affresco nella Sala dei Notari

Primo degli eventi di vita
Secondo degli eventi di vita

Terzo degli eventi di vita
Quarto degli eventi di vita


Ultime gesta di Braccio Fortebracci

La sua carriera e la sua vita si fermarono all’Aquila. Dopo essersi schierato con Alfonso V d’Aragona contro gli Angioini e nominato Gran connestabile (alto dignitario con funzioni militari, al quale era generalmente affidato il comando in capo della cavalleria o dell’intero esercito) di Napoli, durante gli scontri il 2 giugno del 1424, rimase gravemente ferito durante l’assedio dell’Aquila e morì tre giorni dopo. Il Papa lo fece seppellire in terra sconsacrata, vi rimase fino al 1432 quando, per iniziativa del nipote Niccolò della Stella Fortebraccio, i suoi resti, in un urna lignea, furono tumulati nella Chiesa di San Francesco al Prato a Perugia.
Sulla lapide venne scritto: “Braccius hic situe est. Queris genus actaque? Utrumque ni teneas, dicto nomine, nhil teneas” (Qui è sepolto Braccio. Chiedi la sua origine e le sue imprese? Udito il nome, se non sai di entrambe, non sai nulla).
In epoca successiva i resti del condottiero Braccio da Montone, furono trasferiti nella sacrestia nell’adiacente convento dei Frati Minori di San Francesco. L’antica struttura conventuale, di proprietà del Comune di Perugia, è in affidamento ai francescani che attualmente vi svolgono vita monastica e celebrano messa nel vicino Oratorio di San Bernardino.
Il Comune di Perugia nel maggio 2013 dette avvio alla procedura di restauro dell’urna grazie al sostegno fornito da Nives Tei Coaccioli, presidente del FAI, che finanziò il lavoro di manutenzione e recupero. L’intervento fu realizzato dalla ditta “Giovanni Manuali-Conservazione dipinti antichi e moderni” ed eseguito sulla base di un progetto presentato al Comune e alla Soprintendenza, la quale dette l’autorizzazione e sorvegliò tutta l’operazione.
La riesumazione delle spoglie di Braccio Fortebracci, per poter procedere al restauro dell’urna lignea, avvenne nella sagrestia della chiesa di San Francesco al Prato il 10 maggio 2013 alla presenza del medico legale, di funzionari del Comune di Perugia, di tecnici della Sovrintendenza, del superiore del Convento di San Francesco al Prato, di due rappresentanti delle forze dell’ordine e dello sponsor. L’operazione fu eseguita da personale specializzato dei servizi cimiteriali del Comune. Le spoglie furono poste all’interno di una cassetta zincata, la quale, una volta chiusa, furono posti i sigilli del Comune e una targa con nome, data e luoghi di nascita e di morte del condottiero e signore di Perugia. Terminati i lavori, in data 27 giugno 2013, nel Palazzo dei Piori, nella sala dei Notari, il Sindaco di Perugia presentò alla cittadinanza e alle Autorità locali l’urna funeraria restaurata nel suo splendore.





L'urna funeraria di Fortebraccio

Particolare dell'urna funeraria 



Altri Cenni Storici


L'alleanza e il successivo scontro tra il condottiero Niccolò Fortebracci e il genero Antonio, Conte di Pontedera ( 1433-1434)


Nel giugno 1433 Niccolò Fortebracci (Fortebraccio) della Stella (dal cognome della madre) detto anche “Il Piccinino / Il Vecchio”, capitano di ventura e nipote del condottiero Andrea Fortebracci, con l’aiuto e l’alleanza del genero Antonio Gambacorta, Conte di Pontedera, detto Antonio da Pontedera o Antonio da Pisa (vedi le gesta complete), occupò per un breve tempo il ponte Nomentano, uno dei più famosi ponti di Roma sopra il fiume Aniene, attraversato dalla via Nomentana nel quartiere Monte Sacro, assoldati da Filippo Maria Visconti.
L’alleanza tra Niccolò e Antonio ebbe breve durata e i due condottieri vennero presto ad aperto dissidio e scontro.
Le scritture riportano che al Visconti fu riferito che Antonio intendeva “tagliare a peze” il Fortebracci, ed egli il 10 ottobre 1433, ne scrisse a Niccolò, invitandolo a provvedere, ma senza apertamente fargli male.
Certo è che già nel dicembre del 1433, Antonio, andando a militare nell’esercito nemico pontificio affrontò direttamente in uno scontro presso Tivoli (gennaio 1434) il Fortebracci, riuscendo a ferirlo con una lancia.
Dopo altre serie di eventi e cambiamenti di milizia Antonio Conte di Pontedera, il 15 ( o 16) maggio 1436, a Piperno fu sconfitto e catturato dalle truppe di Giovanni Vitelleschi insieme con due nipoti Giacomo e Giovanni di Mariano da Pontedera e per ordine del Vitelleschi, impiccato ad un olivo tre giorni dopo (vedi l'articolo ).




Vista interna del Ponte Nomentano


Dipinto del Ponte Nomentano


Quasi Re.   Vita di Braccio Fortebraccio


Biografia di Fortebraccio di G. Campano


Lo stato della chiesa al tempo di Braccio


Arte militare e le armi al tempo di Braccio



Breve storia di Pontedera


Nel 1565 Pontedera, dopo essere stata per lungo tempo sotto la giurisdizione di Cascina, acquista una sua propria competenza giurisdizionale estesa al territorio di Ponsacco e Camugliano, Calcinaia, Gello, Montecastello, Pozzale.
Il 23 settembre 1637 Ferdinando II dei Medici, istituendo il marchesato di Ponsacco e Camugliano concesso a Filippo Niccolini elimina così la podesteria di Pontedera su questo comune. Nel 1771 la podesteria ebbe sede definitiva a Pontedera ed ebbe il grado di maggiore.
Ma successivamente, un motuproprio del 6 settembre 1783 provvide ad eleggere Pontedera come sede di Vicariato maggiore con giurisdizione civile e criminale nel proprio territorio (compresa Cascina) e in quello della Podesteria di Palaia. Con la riforma del 12 giugno 1784 Pontedera fu eletta sede di vicariato con giurisdizione civile e criminale sopra il proprio territorio e solo criminale sulla podesteria di Palaia.
Il 24 ottobre 1790 venne soppresso il feudo di Ponsacco e Camugliano e inglobato a Pontedera. Il marchese Niccolini rinunciò spontaneamente all'amministrazione del feudo tornado quindi ad essere amministrata dal vicario regio di Pontedera. Il feudo era ereditario e quindi non cessò di esistere fino alla dominazione francese nel 1808. Tale soppressione fu confermata dai Lorena nel 1814.
La contea di Pontedera nel periodo dell’Impero Napoleonico è stata sotto le dipendenze della Principessa, Granduchessa di Toscana, Maria Anna Bonaparte detta Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone.
Napoleone durante tale periodo, fece costruire un ponte sul fiume Era, tuttora funzionale.
Ad oggi, la contea è assegnata quale feudo nominale a Sua Altezza Paolo Bracci, Conte di Pontedera, Cavaliere della Guardia d’Onore dell’Imperatore, dell’Ordine Cavalleresco Militare della Corona di Ferro (creato da Napoleone Bonaparte).
Leggi la storia completa di Pontedera.



Elisa Bonaparte

Pontedera - Ponte Napoleonico



Il primo Braccio Forte è dell’antico Egitto – il Faraone Psammetico I


In Egitto, nei primi giorni del marzo 2017, alla periferia del Cairo, a el-Matariya, nel quartiere Souq el Khamis, durante degli scavi nei pressi di un sito archeologico di un antico tempio dedicato a Ramsete II, un team di archeologi tedeschi ed egiziani hanno rinvenuto le parti di una imponente statua in pietra quarzite di circa otto metri rappresentante il noto faraone Psammetich I e non Ramsete II, come in principio si era pensato.  Il Ministero delle Antichità egiziano Khaled el Enany in una conferenza stampa dedicata ha riferito che i geroglifici rinvenuti sui frammenti dell’antico colosso in pietra indicano il nome Braccio forte, che è uno dei nomi con i quali era conosciuto il faraone Psammetich I della 26ma Dinastia che regnò sull’Egitto per 45 anni dal 664 al 610 avanti Cristo.
Psammetich I (o Psammetico I, Wahibra Psamtek) è considerato dagli storici il riunificatore dell’Egitto dopo un periodo di grande confusione politica e scontri con l’impero assiro. Ebbe un regno notevolmente lungo, secondo Erodoto di oltre 50 anni, mentre lo storico Eusebio di Cesare gliene attribuisce solamente 45. Pare certa la data della sua morte: il 610 a.C.





Psammetico I offre libagioni a Ra-Harakhti

Busto di Psammetico I

SERVIZIO TV DEL RITROVAMENTO

VIDEO DEL RITROVAMENTO


Elite in ogni tempo e in ogni luogo…


Studiosi e ricercatori asseriscono che dell’elite che ha governato e governa nel mondo ha una cosiddetta linea di sangue che ha origini dagli antichi Faraoni (vedi lista), incluso Ramsete II (1295-1228 A.C.), passando dai i Merovingi e nella fattispecie da Carlo Magno.
La prima connessione a questa linea di sangue dopo Ramsete II è Filippo il Macedone (382-336 A.C.), il quale sposò Olimpia, e il cui figlio era Alessandro il Grande (356-323 A.C.).
Da questa linea di sangue discende la mitica Regina Cleopatra (69-30 A.C.), amante del grande Giulio Cesare con cui ebbe un figlio, Tolomeo Cesare o Cesarione.
E Cleopatra diede alla luce anche due gemelli, figli del grande Marco Antonio. Questa linea di sangue continua poi con Erode il Grande e prosegue con la Famiglia Romana Piso, per arrivare all’Imperatore Romano Costantino il Grande, fondatore del Cristianesimo.
Più avanti nel tempo troviamo Re Ferdinando di Spagna e la Regina Isabella di Castiglia, sponsor di Cristoforo Colombo.
Inoltre, la versione più usata e letta della Bibbia (Bibbia di Re Giacomo), fu commissionata e sponsorizzata da un altro ramo di questa linea di sangue, appunto Re Giacomo I d’Inghilterra.
La linea di sangue di Re Giacomo, secondo i documenti, ci riporta indietro fino al 1550 A.C. e include molti Faraoni egizi, tra cui Ramsete II.
Anche l’ex premier inglese David Cameron risulta cugino di V grado della attuale Regina Elisabetta II, la quale a sua volta, è discendente diretta della stirpe dei Cesari. Questa linea di sangue si spostò poi verso la Francia e il Nord Europa.
Anche i Windsor discendono dai Merovingi, il più celebre: Carlo Magno, e anche molti Re francesi tra cui Luigi XIV, XV, e XVI. Quest’ultimo sposò Maria Antonietta che proveniva dalla stessa linea di sangue.
I Merovingi sono anche imparentati con i Medici in Italia, e Caterina de’ Medici  fu regina di Francia fino al 1589, con gli Asburgo e i Plantageneti e quindi con tutti i susseguenti reali inglesi.
Fonti genealogiche hanno mostrato eccellenti discendenti di questa linea di sangue nelle persone dei Presidenti USA fin dalla guerra d’indipendenza, da George Washington ai tre Bush.
La New England Historical Genealogical Society mostra che 33 presidenti fino a Bill Clinton sono imparentati con Carlo Magno e 19 sono imparentati con Re Edoardo III d’Inghilterra, attraverso la linea di sangue dei Merovingi.
Infine, nella stessa linea di discendenza, troviamo iscritti anche Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone, il Kaiser Guglielmo e Massimiliano d’Asburgo, Re Carlos di Spagna e le famiglie reali di Olanda, Svezia e Danimarca.


La famiglia Windsor

Ramsete II

Cleopatra


Luigi XIV

Luigi XV

Luigi XVI



Un Nobile cognome tra le stelle della galassia...


Le agenzie spaziali NASA e ULA, il 9 settembre 2016 alle ore 00.05 GMT dal Launch Complex 41 nel Cape Canaveral Air Force Station a Cape Canaveral hanno lanciato la sonda OSIRIS-Rex a bordo del razzo Atlas V411 per la missione esplorativa e di studio dell’asteroide Bennu. La missione Origins Spectral Interpretation Resource Identification Security Regolith Explorer (OSIRIS-REx) è stata sviluppata dal Lunar and Planetary Laboratory (LPL) dell'Università dell'Arizona, dal Goddard Space Flight Center della NASA e dalla divisione spaziale della Lockheed Martin. Un’ora dopo il decollo la sonda ha raggiunto l’orbita eliocentrica che la condurrà all’incontro con Bennu, l’arrivo è previsto per l’agosto 2018, dopo un gravity assist con la Terra nel settembre 2017. Durante la permanenza presso l’asteroide, della durata di quasi due anni, OSIRIS-REx studierà a fondo la morfologia e la topologia del corpo celeste grazie ad una serie di telecamere, altimetri e spettrometri. La sonda non atterrerà sulla superficie ma estenderà un braccio robotico attraverso cui potrà prelevare un campione incontaminato di circa 60 grammi di regolite, dopodiché la sonda inizierà a marzo 2021 il suo viaggio di ritorno verso il pianeta Terra che raggiungerà nel settembre del 2023. Nella fase di avvicinamento al nostro pianeta la sonda rilascerà una capsula, contenente il campione raccolto, che atterrerà nello Utah. Una volta a terra, il campione sarà trasportato al Johnson Space Center per le analisi. Gli obbiettivi scientifici della missione sono lo studio e l'esplorazione degli asteroidi per permettere di acquisire informazioni sulla formazione del sistema solare, dei pianeti e sull'origine della vita.
L’asteroide Bennu, , il cui nome deriva da una divinità dell'antico Egitto associata alla rinascita, ha un diametro di circa 500 metri ed è considerato pericoloso per la terra in quanto la sua orbita lo porta ad avvicinarsi al nostro pianeta ogni sei anni e studiosi hanno individuato una serie di otto potenziali impatti con la Terra tra il 2169 ed il 2199 per cui un altro obiettivo della missione è quindi quello di acquisire quelle informazioni sulla forma dell'asteroide e sull'accelerazione cui è soggetto per l'effetto YORP, necessarie a determinare con maggiore accuratezza la probabilità d'impatto. Proprio per questo motivo la missione è stata ribattezzata Osiris, come il dio egiziano della morte e dell'oltretomba associato spesso però al concetto di rinascita.


La NASA e The Planetary Society, nell'ambito del Programma New Frontiers, nella campagna “Messaggi a Bennu”, hanno selezionato lavori artistici pervenuti in forma di fotografia, grafica, poesia, canzone, breve video o altra espressione creativa o artistica che riflettesse ciò che significa essere esploratore, nonché nominativi anch’essi selezionati, i quali dopo essere stati inseriti su un microcip, questo è stato messo nella sonda OSIRIS-Rex a testimonianza dell’essere umano anche dopo la missione su Bennu. Ai selezionati nella campagna “Messaggi a Bennu” gli è stato rilasciato un attestato di partecipazione. Tra i selezionati troviamo S.E. Il Nobiluomo Lorenzo Bracci primogenito del Cav. Paolo Bracci, Conte di Pontedera, a testimonianza di un Elite in ogni tempo e in ogni luogo, perfino nello spazio profondo.




Logo della missione

Lancio di Osiris Rex su Bennu 

La sonda OSIRIS-REx

Lancio di Osiris Rex su Bennu



La sonda OSIRIS-REx ha raggiunto l’asteroide Bennu


Dopo un viaggio di 2 miliardi di chilometri lunedì 3 dicembre 2018 la sonda della Nasa OSIRIS-REx ha raggiunto l’asteroide Bennu.
Il viaggio è durato due anni e le manovre di avvicinamento sono iniziate nell’agosto. Durante questo periodo, Osiris-REx ha completato quattro manovre che hanno rallentato la sua velocità da 491 m/sec a 0,04 m/sec
Dopo aver completato una manovra di transizione che l’ha portata da una traiettoria di approccio ad una di stazionamento orbitale, OSIRIS-REx ora segue il suo obiettivo a pochi chilometri di lontananza, posizionata dal lato illuminato dal Sole.
Già a pochi giorni dopo il suo arrivo alla meta i dati ottenuti dai due spettrometri della sonda spaziale (uno ad infrarossi e l’altro di emissione termica) hanno rivelato su Bennu la presenza di molecole che contengono ossidi di ossigeno e idrogeno uniti, noti come “idrossili”.
Ovviamente  Bennu, con un diametro di circa 500 metri, è troppo piccolo per avere mai ospitato acqua liquida ma la scoperta indica che essa era presente in qualche momento sul corpo progenitore, un asteroide molto più grande. I ricercatori ipotizzano che tra 800 milioni ed un miliardo di anni fa Bennu fosse parte di un asteroide più ampio, con diametro di circa 100 chilometri, abbastanza grande da poter ospitare l’acqua, salvo poi distruggersi a seguito di un’enorme collisione, generando pezzi più piccoli.
OSIRIS-REx potrà eseguire la mappatura globale e dettagliata di ogni particolare dell’asteroide e analizzare altri parametri importanti di Bennu quali la sua velocità di rotazione, la stima della sua massa e la ricostruzione della sua morfologia, con l’intento di individuare il potenziale sito cui prelevare campioni con il suo braccio robotico da riportare sulla Terra.
Bennu ha un’età di circa 4,5 miliardi di anni, per cui è considerato un primordiale del nostro sistema solare così che i suoi materiali sono così antichi che potrebbe contenere le molecole organiche simili a quelle che sono state fondamentali per l’inizio della vita sulla terra.
Quando i campioni di questo materiale verranno restituiti dalla missione sulla Terra nel 2023, gli scienziati riceveranno un tesoro di nuove informazioni sulla storia e l’evoluzione del nostro sistema solare.


Video dell'asteroide Bennu


Vista 3D-Asteroide 101955 - Bennu


Vista 3D, Sonda OSIRIS-REx




Una toccata e fuga su Bennu e rotta verso la Terra per OSIRIS-REX


La NASA ha studiato la superfice di Bennu per molto tempo e dopo avere individuato 4 siti potenzialmente interessanti per il prelievo di campioni rocciosi ha deciso per il sito denominato Nightingale (usignolo).
Il sito si trova a 56 gradi di latitudine nord di Bennu ed è situato all'interno di un piccolo cratere, a sua volta contenuto in uno più grande.
Alle 00:12 ora italiana, di mercoledì 21 ottobre 2020, dopo le operazioni di avvicinamento con la superficie, la sonda OSIRIS-REX ha estratto il suo braccio meccanico lungo tre metri (Touch-And-Go-Sample Acquisition Mechanism) e con una manovra chiamata, appunto, toccata e fuga, durata circa dieci secondi, ha estratto i campioni rocciosi di regolite.
Durante i pochi secondi non appena la sonda ha rilevato l’avvenuto contatto con la superficie, si è attivata una delle tre bombole di azoto a bordo e, dopo avere sparato un getto di gas pressurizzato per smuovere il terreno, proprio come un grande aspirapolvere, il materiale è stato sollevato dalla superficie e aspirato al suo interno prima che la sonda arretrasse nuovamente e si rimettesse in orbita attorno a Bennu.
I campioni di Bennu sono stati raccolti e messi al sicuro in una capsula che si sgancerà dalla sonda una volta giunta in prossimità della Terra: dopo aver attraversato l'atmosfera, grazie a un paracadute atterrerà nel deserto dello Utah il 24 settembre 2023.
Alle 22:23 ora italiana, di lunedì 10 maggio 2021, la sonda dopo avere iniziato le manovre di allontanamento dall'orbita di Bennu si è messa in rotta per la Terra.
La sonda OSIRIS-REX completerà la propria missione una volta rilasciata la capsula di campionamento, dopodiché accenderà nuovamente i propulsori per sorvolare la Terra in sicurezza. Dopo il flyby la sonda si immetterà in un’orbita eliocentrica all’interno dell’orbita di Venere.
Sebbene OSIRIS-REx abbia ancora molto propellente a bordo, il team sta cercando di conservarne il più possibile per un’ipotetica missione estesa verso un altro asteroide dopo aver riportato a Terra la capsula con i campioni. La fattibilità di questa missione sarà allo studio del team nei prossimi mesi.




Video 3D interattivo del prelievo campioni

Video descrittivo del prelievo dei campioni

Video del prelievo dei campioni su Bennu

Descrizione di Bennu: un asteroide attivo


La capsula di OSIRIS-REx è tornata sulla terra con i campioni prelevati sull'asteroide Bennu


La Sonda Osiris-Rex ha riportato sulla terra il più grande campione di un asteroide mai raccolto nella storia, un "tesoro scientifico" di 250 grammi,  il primo per la Nasa e, per i responsabili della missione, un vero e proprio "tesoro" che segna l'inizio di una nuova pagina di scienza che aiuterà a fare luce sull’origine del sistema solare e della vita sul nostro pianeta.
Domenica 24 settembre 2023, la sonda spaziale OSIRIS-Rex della Nasa passando vicino alla Terra, raggiunti  102.000 chilometri dalla superfice terrestre, senza rallentare, alle 12:42 ora italiana si è separata dalla "capsula" contenente il materiale prelevato dall'asteroide Bennu, portando così a termine una missione durata sette anni.
La capsula, dopo aver sfrecciato nello spazio per quattro ore viaggiando a circa 44.500 km/h, ha perforato l’atmosfera terrestre alle 14:42 (ore italiana).
La compressione dell’atmosfera terrestre ha prodotto energia sufficiente per avvolgere la capsula in una palla di fuoco, ma lo scudo termico di cui è stata dotata ha permesso di mantenere i campioni al sicuro.
Dopodichè i paracadute hanno portato la discesa della capsula ad una velocità di atterraggio sicura. Un paracadute frenante progettato per fornire una transizione stabile alle velocità subsoniche si è dispiegato per primo, circa 2 minuti dopo che la capsula è entrata nell’atmosfera. Sei minuti dopo, a circa 2 chilometri sopra il deserto dello Utah (Stati Uniti), lo “scivolo principale” si è aperto, trasportando la capsula per il resto del percorso in un’area di 58 x 14 chilometri sul il poligono militare americano.
Alle ore 16:52 italiane, la capsula della missione OSIRIS-REx ha toccato terra, dopo sette anni passati nello spazio. Al suo interno si trovano circa 250 grammi di campioni di rocce e polvere raccolti dalla superficie dell’asteroide Bennu.
Al momento dell’atterraggio, la capsula aveva rallentato la sua velocità fino a circa 18 km/h.
La squadra di recupero a bordo di elicotteri con strumenti termici di tracciamento hanno seguito il percorso della capsula fino a terra e cosi immediatamente recuperata e messa in sicurezza per evitare possibili contaminazioni dei campioni con l’ambiente terrestre.
La capsula recuperata è stata trasportata tramite elicottero in una sala bianca temporanea nel poligono militare e successivamente in aereo al Johnson Space Center della NASA a Houston, dove il campione verrà documentato, curato, ma solo il 25% del totale sarà destinato sia per la Nasa stessa che distribuito per l’analisi agli scienziati di tutto il mondo, di cui il 25% sarà suddiviso tra 200 ricercatori di 35 centri, il 4% sarà donato all’Agenzia spaziale canadese Csa e lo 0,5% a quella giapponese Jaxa. Il rimanente 75% dei 250 grammi prelevati su Bennu, resterà alla Nasa e sarà conservato per un futuro quando saranno disponibili esami con tecnologia ad oggi sconosciute.
Già il 16 settembre 2023 il telescopio Optical Ground Station (OGS) dell’ESA a Tenerife, aveva avvistato la sonda OSIRIS-REx della NASA, mentre si trovava a 4.66 milioni di chilometri dalla Terra.
A gestire l’osservazione del rientro di OSIRIS-REx è stato il NEOCC (Near-Earth Object Coordination Centre) il quale ha indirizzato l’OGS verso la sonda per il tracciamento della stessa.
Il recupero di questi campioni ha rappresentato la conclusione della missione principale della sonda OSIRIS-Rex, ma una nuova missione è iniziata lei.
La sonda continuerà a indagare sul nostro sistema solare con un nuovo nome: OSIRIS-APEX (OSIRIS-Apophis Explorer), ma di questo parleremo successivamente con un articolo dedicato.
Infatti venti minuti dopo che aveva rilasciato la capsula con i campioni, ha acceso i suoi propulsori per deviare oltre la terra e dirigersi per una nuova missione verso l’asteroide Apophis.




Tracciamento e atterraggio della capsula OSIRIS-REX



Trasporto della capsula Osiris-Rex alla base di Houston


Alcuni momenti della squadra di recupero della capsula Osiris-Rex



 

Il Nobile cognome si fa ancora più forte nello spazio con la missione   ARTEMIS I

La missione spaziale ARTEMIS I, precedentemente denominata Exploration Mission-1, è la prima di una serie di missioni sempre più complesse che consentiranno l'esplorazione umana sulla Luna e su Marte.
Per la missione di Artemis I è stata attivata dalla NASA  l'iniziativa "Send Your Name - Your name will fly around the Moon".
Sua Eccellenza il Cav. Paolo Bracci, Conte di Pontedera e il Nobile figlio Lorenzo Bracci hanno aderito all'iniziativa per la quale gli sono state rilasciate le carte d'imbarco virtuali per il viaggio di missione e i nomi salvati su una unità flash di memoria  posta all'interno della navicella Orion.
Artemis I sarà il primo test di volo senza equipaggio del razzo Space Launch System e della navicella spaziale Orion.
Il volo aprirà la strada all'atterraggio della prima donna e della prima persona di colore sulla Luna!
Tutti gli occhi saranno puntati sullo storico Launch Complex 39B quando Orion e lo Space Launch System (SLS) decolleranno per la prima volta dal Kennedy Space Center modernizzato della NASA in Florida.
Come detto Artemis I sarà il primo di una serie di missioni sempre più complesse per arrivare a una presenza umana a lungo termine sulla Luna per i decenni a venire.
Intanto proseguono i preparativi  in vista della  missione spaziale che riporterà l'uomo sulla Luna, operazione che non avviene sin dai tempi del programma Apollo.
La missione Artemis I farà da apripista a quelle successive e consentirà di testare direttamente nello spazio il funzionamento del razzo SLS e della capsula Orion. Quest'ultima per l'occasione non ospiterà equipaggio umano ma solo un comandante "Moonkin", ossia un manichino dotato di sensori per registrare parametri e sollecitazioni durante il viaggio. Questo manichino ha anche un nome "Campos", in onore del celebre ingegnere il cui ruolo fu fondamentale nel salvataggio degli astronauti della missione Apollo 13.
Il razzo SLS e la capsula Orion saranno dotati di molteplici sensori sia esterni che interni al fine di acquisire più dati possibile su ogni aspetto, dal funzionamento dei sistemi di bordo alla resistenza alle sollecitazioni dei due mezzi per evitare ogni possibilità d'errore al nuovo invio nello spazio di astronauti in carne e ossa dai tempi del programma Apollo.
Per vedere un primo equipaggio umano a bordo della navicella Orion dovremo attendere la missione Artemis II,  ma sarà ancora una missione test e nonostante la presenza dell'equipaggio a bordo, questo si limiterà a eseguire alcune orbite attorno alla Luna per poi ritornare sulla Terra. L'allunaggio vero e proprio avverrà solamente con la missione Artemis III.
Durante il volo della missione Artemis I, la navicella Orion rimarrà nello spazio più a lungo di qualsiasi nave, senza mai attraccare a una stazione spaziale.
Il veicolo spaziale rimarrà in orbita lunare per circa sei giorni con l’intento di raccogliere dati e consentire ai controllori e ingegneri di missione di valutare le prestazioni del veicolo spaziale.
Alla fine l'accensione sincronizzata del motore riporterà la navicella sulla  traiettoria verso la Terra entrando nell’atmosfera ad una velocità di 11 km/s e con temperature di circa 2760 °C, prima di potere rallentare grazie ai paracaduti e all'ammaraggio finale.
Il nome scelto per il programma Artemis viene dal greco antico: (Ἄρτεμις, Ártemis) una divinità della religione greca, meglio conosciuta con il nome di Artemide, dea della caccia, della foresta, della luna crescente e della fertilità.
Artemide è figlia di Zeus e Latona e sorella gemella di Apollo, è una dei dodici Olimpi e la sua origine risale ai tempi più antichi. Fu più tardi identificata come la personificazione della Luna crescente, insieme a Selene (la Luna piena) ed Ecate (la Luna calante).
Fu associata dai Romani alla figura di Diana, mentre gli Etruschi la veneravano con il nome di Artume.
Sua Eccellenza il Cav. Paolo Bracci, Conte di Pontedera e il Nobile figlio Lorenzo Bracci esprimano il loro ringraziamento alla NASA, che grazie all'iniziativa cui hanno aderito avergli permesso in tal modo di poter rivendicare "un posto" nel cosmo.






Vista virtuale dell'orbita Artemis I



Logo della Missione Artemis I

La piattaforma di lancio del Kennedy Space Center

Interno della navicella Orion

Una vista sugli interni della capsula Orion


Artemis I: animazione 3D della missione


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Signori e signore ... tutti in carrozza! ... si parte!

Signori e Signore … tutti in carrozza! … si parte! Questo era l’invito da parte del conduttore della carrozza trainata dai cavalli a far sì che i passeggeri si affrettassero a salire pochi istanti prima della partenza, ma da allora è passata molta acqua sotto i ponti.
Il giorno 16 novembre 2022, alle ore 7,47, ora italiana, dalla piattaforma 39B del Kennedy Space Center, dalla base Nasa di Cape Canaveral, in Florida, (1.47 della Florida) è decollato con successo il vettore Sls (Space Launch System), per l’inizio dell’ambiziosa missione Artemis I che riporterà l’uomo sulla Luna.
Dopo che i razzi a propellente solido (Solid Rocket Boosters), si sono separati, per cadere dopo pochi minuti nell’oceano Atlantico e il motore principale si è spento e lo stadio principale del razzo Sls si è separato, cadendo nell’oceano Pacifico, i quattro pannelli solari della capsula Orion si sono dispiegati e la capsula si è inserita nell’orbita lunare dove è rimasta per 26 giorni.
Durante questo periodo sono stati effettuati tutti i test intorno all’orbita della Luna prima di rientrare con successo sulla Terra.
Le 16 videocamere a bordo di Orion e le otto sul razzo Sls hanno documentato passo dopo passo tutto ciò che è avvenuto dopo il lancio. In particolare, le quattro montate sul modulo di servizio di Orion, alle estremità delle ali dotate di pannelli solari, hanno scattato incredibili 'selfie' di Orion con la Terra e la luna sullo sfondo.
La navicella Orion ha raggiunto il 28 novembre 2022 il punto più lontano dalla Terra previsto dalla missione Artemis I, 432.210 km, segnando il nuovo record per un'astronave progettata per il trasporto di esseri umani.
Uno dei test più importanti per l'intera missione è stata il rientro nell'atmosfera terrestre, con cui è stata verificata la tenuta dello scudo termico all'incredibile velocità di circa 40.000 km/h.
Lo scudo termico di Orion misura circa 5 metri di diametro ed è il più grande del suo genere.
Rientrando in atmosfera la navicella ha affrontato temperature di quasi 2.800 °C, pari a circa la metà di quella che si trova sulla superficie del Sole. Per proteggere Orion è stato usato blocchi di cosiddetto Avcoat, strutture a nido d'ape in fibra di vetro dove viene iniettata una particolare resina epossidica, poco meno di 200, ciascuna cella pre-lavorata affinché possa adattarsi alla propria posizione è stata incollata sulla "pelle" in fibra di carbonio dello scudo termico.
Una protezione che permetterà agli astronauti all'interno di Orion nelle missioni future di superare il momento critico dell'attraversamento dell'atmosfera.
L’11 dicembre 2022 la navicella è entrata finalmente nell’atmosfera terrestre con una velocità di 40mila km all’ora. Quindi ha decelerato fino a 480 km all’ora quando ha dispiegato i suoi paracadute per tuffarsi in sicurezza nell’Oceano Pacifico.
Il rientro è avvenuto nella modalità che gli americani chiamano "skip re-entry" (rientro a balzi) saltellando letteralmente sull'atmosfera prima di entrare.
Per entrare più nel dettaglio, lo skip re-entry è una tecnica di rientro atmosferico che impiega uno o più "salti" successivi al di fuori dell'atmosfera stessa.
Il concetto alla base di questa tecnica è quello di "tagliare" l'atmosfera con un certo angolo di ingresso, in modo che il velivolo sia spinto all'esterno verso lo spazio (un po' come accade quando un ciottolo lanciato sulla superficie di un lago "rimbalza" sull'acqua). A ogni salto la velocità della sonda viene ridotta, così che essa possa alla fine scendere nell'atmosfera a una bassa velocità.
Una strategia sempre più perfezionata che ha rivoluzionato la tecnica di atterraggio/ ammaraggio sin dai tempi in cui erano utilizzate dai sovietici con alcune Soyuz LK che avrebbero dovuto portare uomini alla Luna. Allora i sovietici fecero quattro prove con navicelle senza uomini e tutte andarono a buon fine.
Lo scopo di questa strategia è avere a disposizione un'ampia gamma di ingressi possibili e rallentare la sonda prima del rientro finale, riducendo così la quantità di calore sviluppata. Questa tecnica permette inoltre di avere una maggiore scelta anche dei possibili punti di atterraggio o di raggiungere un'area prestabilita di atterraggio avendo a disposizione un maggior numero di momenti possibili di ingresso.
La navicella Orion della nasa è ammarata nell’Oceano Pacifico, al largo della costa della Bassa California in Messico, vicino all’isola di Guadalupe, alle ore 18,40, ore italiane, di domenica 11 dicembre 2022, al termine della missione da record, la quale a ha coperto più di 2,25 milioni di chilometri lungo un percorso intorno alla Luna e ritorno sulla Terra.
La navicella è stata recuperata dalla nave della marina statunitense USS Portland e dopo essere stata trasportata in un primo momento al porto di San Diego è stata successivamente inviata presso Kennedy Space Center, in Florida, dove è stata esaminata per i futuri viaggi con l’equipaggio umano.
Si è trattato di un momento storico perché è un segnale di ripresa per l'esplorazione dello Spazio profondo con esseri umani dopo la fine del programma Apollo.
Sua Eccellenza il Cav. Paolo Bracci Conte di Pontedera e il suo nobile figlio Lorenzo Bracci sono entrati in questo momento storico con il loro viaggio virtuale insieme ad altri "viaggiatori" nel programma Artemis, ma anche chi ha preso parte al progetto ha voluto lasciare un segno, anche nascosto, per dire alla storia... c'ero anch'io (scoprilo sul link).



Artemis I - video della missione


Artemis I -  dal Lancio all'ammaraggio


visione dalla capsula Orion della Luna e Terra

Recupero della navicella Orion da parte della
USS Portland

Servizio tv del recupero della capsula Orion


vedi la navicella Orion in 360° prima del lancio


Kennedy Space Center - Full Tour


Continua il viaggio del Nobile cognome tra le stelle della galassia...


Le agenzie spaziali NASA e ULA, il 9 settembre 2016 alle ore 00.05 GMT dal Launch Complex 41 nel Cape Canaveral Air Force Station a Cape Canaveral lanciarono la sonda OSIRIS-Rex a bordo del razzo Atlas V411 per la missione esplorativa e di studio dell’asteroide Bennu.
La NASA e The Planetary Society, nell'ambito del Programma New Frontiers, nella campagna “Messaggi a Bennu”, selezionarono lavori artistici pervenuti in forma di fotografia, grafica, poesia, canzone, breve video o altra espressione creativa o artistica che riflettesse ciò che significa essere esploratore, nonché nominativi anch’essi selezionati, i quali dopo essere stati inseriti su un microcip, furono messi all’interno della sonda OSIRIS-Rex a testimonianza dell’essere umano anche dopo la missione su Bennu. Ai selezionati nella campagna “Messaggi a Bennu” gli fu rilasciato un attestato di partecipazione. Tra i selezionati fu inserito anche S.E. Il Nobiluomo Lorenzo Bracci primogenito del Cav. Paolo Bracci, Conte di Pontedera, a testimonianza di un Elite in ogni tempo e in ogni luogo, perfino nello spazio profondo.
Al termine della missione di ritorno, domenica 24 settembre 2023, la sonda spaziale OSIRIS-Rex passando vicino alla Terra, raggiunti  102.000 chilometri dalla superfice terrestre, alle 12:42 ora italiana si è separata dalla "capsula" contenente il materiale prelevato dall'asteroide Bennu, la quale alle successive ore 16:52 italiane, ha toccato terra.
Ciò ha rappresentato la conclusione della missione principale della sonda OSIRIS-Rex, durata 7 anni, ma da quel momento una nuova missione è iniziata lei.
La sonda per il nuovo progetto scientifico di esplorazione è stata ribattezzata con il nome OSIRIS-APEX (OSIRIS-Apophis Explorer).
Infatti venti minuti dopo che ha rilasciato la capsula con i campioni, ha acceso i suoi propulsori per deviare oltre la terra e dirigersi per una nuova rotta verso l’asteroide Apophis.
OSIRIS-APEX sfrutterà il propellente rimasto per avvicinarsi al corpo asteroidale, 99942 Apophis. Si tratta un NEO (Near Earth Object) con un diametro di circa 370 metri, potenzialmente pericoloso per la Terra.
Infatti ha destato preoccupazioni nel 2004, quando si temeva un possibile impatto nel 2029. Poi ulteriori osservazioni hanno escluso questa possibilità, almeno per i prossimi 100 anni, riducendo l’incertezza sulla sua traiettoria.
Si prevede che OSIRIS-APEX arriverà e si posizionerà in orbita eliocentrica stazionaria su Apophis nel 2029. Pochi giorni dopo il 13 aprile 2029 quando l’asteroide sarà nel punto della sua orbita più vicino alla Terra e lo studierà per circa 18 mesi. In quell’occasione, Apophis sarà a circa 31 600 km dalla superficie terrestre. La distanza è comunque cinque volte maggiore del raggio della Terra, anche se dieci volte più vicina della Luna. Durante l’avvicinamento dell’asteroide, la gravità della terra sarà tale da poter influenzare il movimento orbitale, determinando una perturbazione fisica dell’orbita di Apophis.
Un altro obiettivo della missione è quindi quello di acquisire quelle informazioni sulla forma dell'asteroide e sull'accelerazione cui è soggetto per l'effetto YORP, necessarie a determinare con maggiore accuratezza la probabilità d'impatto.
La missione prevederà lo studio tramite le apparecchiature istallate sulla sonda, di quanto espletato per il precedente asteroide Bennu, perciò non mancherà che sia eseguita la mappatura completa del corpo celeste, potrà fare anche una manovra simile a quella effettuata durante la precedente raccolta dei campioni su Bennu (ad esclusione del prelievo di materiale) ma potrà utilizzare i “colpi di scorta inutilizzati” dei getti di gas pressurizzato che erano stati previsti per la prima missione per smuovere un punto della superfice dell’asteroide per esporne la composizione.




Il poster realizzato per l'evento New Mission   OSIRIS-APEX 


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